Quante cose in comune hanno Luigi Tenco e Cesare Pavese? Tantissime, più di quante non si riesca a spiegare sulla carta.
Sicuramente il coraggio di andare all’osso, la semplicità della voce poetica, il passo confessionale, il senso musicale della frase, la nudità del verbo e, di questo, l’essere così coraggiosamente esposto al banale. E poi l’eterna fanciullezza, assetata d’ogni cosa e, dall’altra parte, la disillusione, la malinconia, quel triste pulviscolo che si posa sull’esperienza; il difficile “impegno” nel mondo; e ancora, la considerazione postuma davvero popolare della loro opera e della loro figura; e infine il suicidio, che per entrambi non fu solo un tragico dato contingente ma una postilla (pacificamente) possibile della propria parabola poetica ed esistenziale.
Orlando Manfredi e Luca Occelli danno vita sul palco alla storia di un Epigono - chiamato il Nostro - che cerca con esiti tragicomici di replicare le grandezze e i fallimenti, l’arte e la vita dei due idoli piemontesi.
Partendo dal proprio vissuto di cultori ed estimatori di Tenco e Pavese fin dall’infanzia, muovendosi da esperienze familiari autentiche e suggestive, gli attori portano in scena le intersezioni da un autore all’altro, attraverso un viaggio sensoriale dove i confini sfumano e si contaminano, così come contaminato è il motore del racconto scenico.
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