Un ‘racconto morale’ per due voci narranti e violoncello: Guido Barbieri e Michele Marco Rossi.
La vicenda di Hertzko Haft, il cosiddetto pugile della Shoah, si situa nella zona grigia evocata da Primo Levi ne I sommersi e i salvati: quell’area ambigua e oscura in cui il confine tra la vittima e il carnefice non è un solco preciso e invalicabile bensì un margine incerto che lascia aperta la porta a inconfessabili complicità.
Haft, nato a Belkatow, in Polonia, da una famiglia ebrea, viene catturato ad appena sedici anni di età e deportato a Birkenau. Nonostante sia ancora un ragazzo possiede un fisico forte e muscoloso, perfetto per fare di lui un pugile-modello.
Viene dunque reclutato per compiere un lavoro sporco: combattere ogni settimana contro un prigioniero diverso per far divertire i soldati tedeschi. In palio c’è la vita: chi perde viene ucciso con un colpo di pistola. Haft vince tutti i 76 incontri che vengono organizzati nel campo di Jaworzno, una miniera di carbone a nord di Auschwitz.
Si porta però dentro di sé, per tutta la vita, il rimorso per quei compagni di prigionia caduti sotto i suoi pugni.